Il procedimento disciplinare avanti i Consigli locali dell’ordine degli ingegneri ha natura amministrativa e deve, pertanto, ritenersi ad esso applicabile la L. 241/1990 (Legge sul procedimento amministrativo in generale), pur tenendo conto delle specificità della materia.
Con la sentenza 22 dicembre 2011, n. 28339, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la natura amministrativa delle funzioni disciplinari svolte dai Consigli territoriali degli Ordini degli Avvocati, e dei relativi procedimenti, analogamente estendibile anche ai procedimenti disciplinari avanti i Consigli territoriali dell’Ordine degli Ingegneri.
Un aspetto di tale procedimento di sicuro interesse, ma assai problematico, attiene il diritto di accesso del terzo, che tipicamente corrisponde al soggetto “esponente-denunciante”.
Si premette, fin da subito, la difficoltà di addivenire ad una soluzione univoca circa l’ostensibilità degli atti e dei documenti inerenti i procedimenti disciplinari. Occorrerà, infatti, valutare, nel singolo caso, gli interessi contrapposti sottesi alla richiesta di accesso agli atti.
Preliminarmente, si rende necessario definire le varie modalità di accesso agli atti, le quali, avendo caratteristiche e funzioni diverse, richiedono valutazioni differenti.
Il legislatore, ad oggi, ha previsto tre modalità di accesso alle informazioni pubbliche: l’accesso documentale, l’accesso civico “semplice” e l’accesso civico “generalizzato”.
L’accesso documentale è previsto per chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. Tale accesso ha la funzione di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari.
L’accesso civico “generalizzato” si distingue sia dall’accesso civico “semplice” che dall’accesso documentale. L’accesso civico semplice, infatti, rimane circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata osservanza degli obblighi imposti dalla legge. Invece, l’accesso generalizzato si delinea come del tutto autonomo ed indipendente dai presupposti obblighi di pubblicazione ed è espressione di un diritto che incontra, quali unici limiti, da una parte, il rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’art. 5 bis, commi 1 e 2, e dall’altra, il rispetto delle specifiche esclusioni di cui all’art. 5 bis, comma 3 (cfr. deliberazione A.N.A.C. n. 1309 del 2016).
L’accesso generalizzato deve essere anche tenuto distinto dalla disciplina dell’accesso “documentale” di cui agli articoli 22 e seguenti della L. 241/1990: infatti, la finalità di quest’ultima è di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari. Invece, la finalità dell’accesso civico “generalizzato” è quella “di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (deliberazione A.N.A.C. n. 1309 del 2016).
In buona sostanza, lo strumento dell’accesso civico generalizzato consente, per la prima volta, nel nostro ordinamento, l’accesso alla documentazione in possesso delle amministrazioni, senza la necessità di un manifesto interesse da parte dell’accedente. Tuttavia, l’accesso generalizzato non deve travalicare i limiti previsti dal legislatore (art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. 33/2013), posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati che potrebbero confliggere con la volontà di conoscere, espressa dal cittadino: l’ampio diritto all’informazione e alla trasparenza dell’attività delle amministrazioni e degli altri soggetti indicati nel neo-introdotto articolo 2-bis del Codice della trasparenza resta temperato solo dalla necessità di garantire le esigenze di riservatezza, di segretezza e di tutela di determinati interessi pubblici e privati (come elencati nell’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013) che diventano l’eccezione alla regola. L’accesso documentale, invece, è consentito in ogni caso, in presenza dei requisiti sopra enunciati, anche in presenza di dati sensibili o giudiziari, qualora il diritto che si intende far valere sia almeno “pari rango” al diritto tutelato.
Sul punto, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, avuto riguardo all’art. 5 del D.Lgs. 33/2013 e in conformità a quanto espresso nella Delibera 1309/2016 di ANAC, nonché nella Circolare 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione, considerato l’ambito di applicazione delle tre modalità citate di accesso alle pubbliche informazioni (accesso documentale, accesso civico semplice e accesso civico generalizzato) e ritenuto che fosse necessario, oltre che opportuno procedere ad una regolamentazione congiunta della materia, ha adottato, in data 6 settembre 2017, la Delibera di approvazione del “Regolamento in materia di accesso documentale, accesso civico e accesso civico generalizzato”.
Ripercorrendo i principi generali già esposti, il regolamento adottato dall’Ordine degli ingegneri stabilisce le modalità di accesso alle informazioni in suo possesso.
Per quel che rileva in questa sede, occorre soffermarsi sull’accesso documentale da parte del terzo esponente-denunciante ai documenti del procedimento disciplinare, necessario a fronte di un interesse concreto, attuale e giuridicamente rilevante.
Devono essere considerate le posizioni soggettive coinvolte, spesso tra di loro contrastanti, quali l’interesse alla trasparenza dell’azione amministrativa, il diritto alla riservatezza e la necessità di assicurare tutela giurisdizionale ai diritti soggettivi.
La stessa L. 241/1990, invero, impone un bilanciamento tra l’interesse dell’istante, che dev’essere diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, e quello dei possibili controinteressati, i quali dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromessi i loro diritti, a partire da quello alla riservatezza.
A ciò consegue la necessità per il Consiglio dell’ordine territoriale di considerare le ragioni del richiedente, opponendo diniego a tutte le richieste formulate con motivazioni improprie, quali, ad e-esempio, la realizzazione di un controllo sistematico o generalizzato dell’operato del Collegio disciplinare, ovvero l’ottenimento – sfruttando il diritto all’accesso – di dati e circostanze personali al di fuori dello stretto necessario ai fini della propria tutela giudiziale.
Si comprende, dunque, come l’accesso civico “semplice” e “generalizzato” al mero fine di controllo dell’attività del Consiglio sarebbero inevitabilmente rigettati, in quanto una tale istanza oltrepassa i limiti imposti dal legislatore. Allo stesso modo, verrebbe rigettata anche l’istanza di accesso documentale non debitamente motivata allegando l’interesse concreto, attuale e giuridicamente rilevante.
L’orientamento trova conferma nei principi enucleati dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7), in particolare ove chiarisce che la sola condizione di esponente non abilita, di per sé, all’accesso agli atti del procedimento disciplinare, ma che la qualità di autore di un esposto non può, da sola, determinare un diniego di accesso agli atti, motivato con l’estraneità dell’esponente al procedimento disciplinare.
Al contrario, l’esponente può in effetti essere – più di altri – un soggetto potenzialmente avente diritto a prendere visione di detti atti, purché questa sua condizione sia unita ad altri elementi che dimostrino l’esistenza di un interesse giuridicamente tutelato.
In presenza di tali condizioni, potrà procedere ai sensi della L. 241/1990 e del regolamento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri di recente adozione (2017).
Un’istanza di accesso ad atti inerenti un procedimento disciplinare potrà essere rigettata solo se non motivata ovvero se priva di quegli elementi che, oltre le clausole di puro stile, aggiungendosi al mero status di esponente, dimostrino la qualità di soggetto abilitato a far valere determinati diritti riconosciuti dall’ordinamento, in termini di attualità, concretezza e differenziazione, escludendosi perciò l’interesse generico, meramente emulativo o dettato da pura curiosità (cfr. parere del Consiglio Nazionale Forense, rel. Baffa e Bianchi, parere del 23 luglio 2009, n. 29).
Quanto ai limiti dell’accesso, vengono in rilievo la riservatezza del diretto interessato e le esigenze istruttorie del Consiglio procedente.
Una volta verificato l’interesse all’accesso del terzo, interesse, dunque, diretto, concreto ed attuale, non sussistendo preminenti ragioni di riservatezza del professionista, in quanto si tratta di accedere, in genere a dati per loro natura sensibili, l’accesso non può essere impedito.
Con riferimento ai dati sensibili, la cui disciplina viene accostata a quella dei dati giudiziari, l’art. 24 della L. 241/1990 individua una disciplina particolare e più stringente in tema di esercizio del diritto di accesso, per effetto della quale l’amministrazione cui è richiesta l’ostensione ed il giudice adito in sede di tutela giurisdizionale possono consentire l’accesso nei limiti in cui esso risulti strettamente indispensabile per la cura e la difesa degli interessi giuridici dell’istante: l’accesso è quindi consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile, ovvero quando “la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato” (art. 60, D. Lgs. 193/2003).
È noto come il diritto alla difesa è diritto inviolabile, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, e costituisce diritto di pari rango alla tutela della riservatezza, anch’esso tutelato costituzionalmente.
Tale normativa è stata oggi sostituita dagli artt. 9 e 10 del GDPR (Nuovo Regolamento UE, 2016/679 del 27 aprile 2016, in vigore dal 25 maggio 2018). Si rende, pertanto, necessario attendere come verranno coordinati dalla giurisprudenza il nuovo testo normativo con la L. 241/1990.
La giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 25 maggio 2001, n. 218) nello specifico del procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio dell’ordine forense, ha stabilito che “In materia di procedimento disciplinare a carico di avvocati non sussiste violazione del dovere di riservatezza qualora sia consentito l’accesso a documenti del procedimento disciplinare; infatti, il diritto di accesso ai documenti di procedimenti amministrativi, anche se disciplinari, previsto dall’art. 21 e ss. della legge n. 241 del 1990, compete a chiunque abbia un concreto e apprezzabile interesse personale a prenderne visione”.
È evidente, in definitiva, come si dovrà di volta in volta e sulla scorta del contenuto specifico del singolo addebito, valutare l’esperibilità dell’accesso agli atti.
Identificando il procedimento disciplinare come vero e proprio procedimento amministrativo vi è chi addirittura ha sostenuto come – a prescindere dall’eventuale istanza dell’“interessato”, che tuttavia impone comunque obbligo di adeguata motivazione di ogni determinazione sul punto – occorra stabilire se esista un “interessato” al procedimento e come, in caso che se ne ravvisi l’esistenza, allo stesso debba essere notificato l’avviso di procedimento previsto dall’articolo 8 della L. 241/1990 (I. Cacciavillani, Il diritto disciplinare, CEDAM, 1994).
Quanto alla possibilità da parte del terzo-esponente di impugnare l’eventuale archiviazione si osservi quanto segue.
La giurisprudenza della Cassazione (Cass. [ord.], sez. un., 19-11-1998, n. 991) ha affermato che “Ai procedimenti disciplinari riguardanti gli iscritti all’ordine degli architetti sono applicabili le norme del codice di procedura penale solo con riguardo allo svolgimento dinanzi al consiglio nazionale, non anche con riguardo al ricorso per cassazione, al quale si applicano invece le norme del codice di rito civile”.
Principio pacificamente estendibile anche all’ordine degli ingegneri come si deduce da Cass., sez. un., 04-11-1994, n. 9128 “In tema di procedimento disciplinare a carico di ingegneri ed architetti, l’inosservanza, da parte del consiglio dell’ordine, dell’obbligo previsto dall’art. 44, 1º comma, r.d. n. 2537 del 1925, […] comporta, […] secondo le norme ed i principi del rito penale, applicabili per analogia alla materia disciplinare, in mancanza di specifiche disposizioni in contrario, la nullità dell’indicata decisione”.
Neppure può tralasciarsi quanto affermato dal CNF e dal Consiglio di Disciplina Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
In particolare, il CNF (Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. MORLINO), sentenza del 27 ottobre 2010, n. 168) ha affermato che “L’atto presentato al C.N.F. da un avvocato al fine di censurare la delibera con la quale il C.O.A. ha disposto l’archiviazione del suo esposto nei confronti di un collega non può essere qualificato atto d’impugnazione del provvedimento del Consiglio, sia perché esso sarebbe ricorribile dal solo p.m., sia perché, non essendo atto da considerarsi definitivo, non è per sua natura soggetto ad impugnazione, ma soltanto assoggettabile a provvedimento di riapertura in presenza di elementi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli già valutati. Tale atto può peraltro essere considerato come autonomo nuovo esposto, laddove il ricorrente chieda di valutare sotto il profilo deontologico la correttezza dell’operato dei Consiglieri che hanno gestito l’attività scaturita in conseguenza del primo esposto, dovendo tuttavia essere presentato direttamente al C.O.A. territoriale nel caso in cui lo stesso, come nella specie, pur genericamente richiamando l’intero Consiglio sia invece diretto esclusivamente nei confronti del singolo Consigliere relatore. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Brindisi, 31 marzo 2009).
Allo stesso modo, il Consiglio di Disciplina Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili del 28 gennaio 2015, n. 2, ha affermato che “è inammissibile il ricorso presentato dall’esponente contro il provvedimento di archiviazione del C.d.O. territoriale. La legittimazione all’impugnazione deve ravvisarsi, infatti, soltanto in capo ai destinatari del provvedimento disciplinare, ovvero soltanto al soggetto la cui posizione professionale venga incisa dal contenuto della decisione mentre colui che, nell’ambito del procedimento disciplinare, assume la posizione giuridica del denunziante riveste una posizione assimilabile, nella legislazione vigente, a quella del testimone piuttosto che a quella della parte lesa. In materia disciplinare, peraltro, l’impugnazione è consentita solo avverso le decisioni che concludono un procedimento disciplinare e legittimati a proporla sono solo l’iscritto contro cui si procede ed il Pubblico Ministero”.
In definitiva, il terzo-denunciante, in caso di archiviazione del procedimento scaturito a seguito della propria segnalazione:
- potrà esperire la procedura di accesso agli atti al fine di far valere in giudizio le proprie pretese ( es. responsabilità civile o penale professionista) e, in assenza di riscontro o di rigetto dell’istanza di accesso agli atti, adire il TAR competente.
- non potrà opporsi alla archiviazione.
Si precisa come l’esponente potrà promuovere istanza di accesso agli atti verso tutti i documenti relativi al procedimento disciplinare. Sarà poi il Consiglio di disciplina a dover valutare quali documenti effettivamente possono garantire il diritto di difesa, fondante l’interesse diretto, concreto e giuridicamente tutelabile, vantato dall’esponente, concedendone, quindi, l’ostensione e mantenendo la segretezza sugli altri.
Infine, quanto all’opposizione dell’archiviazione si osserva come essa non sia possibile nè qualora sia intervenuta nella fase pre-procedimentale, né nella fase procedimentale in senso stretto, in quanto, in ogni caso, da una parte essa è sempre priva di contenuto decisorio, e quindi non suscettibile di produrre effetti dannosi per la parte esponente, essendo sempre revocabile qualora sopravvengano nuovi elementi e, dall’altra, l’esponente non è legittimato attivo rivestendo, peraltro, una posizione assimilabile, nella legislazione vigente, a quella del testimone, piuttosto che a quella della parte lesa.