Ciao Alessia, quando hai iniziato a praticare apnea?
Avevo 13 anni e per gioco ho iniziato il primo corso; poi ho semplicemente continuato, finché, raggiunti 16 anni, mi sono accorta di essere innamorata di questo sport, tanto da non smettere più.
Hai scoperto di essere predisposta fin da subito?
Sì, ho scoperto subito di essere abbastanza forte. Già nei primi tentativi in piscina toccavo senza difficoltà i 40 mt in apnea dinamica. Mi piaceva tanto ed ho capito che con un po’ di allenamento potevo andare oltre. Ho cominciato così a raggiungere i 50 mt e poi a migliorare ancora, però ho dovuto attendere i 18 anni per poter fare le prime gare.
Come hai affrontato paure e difficoltà per arrivare ai tuoi record? Qual è il tuo segreto?
Nell’apnea la componente psicologica è fondamentale; se nella testa cominciano a vorticare pensieri senza controllo si perde drasticamente in prestazioni, a prescindere dalla forma fisica. Nel mio caso, mi sono rivolta ad uno psicologo dello sport, il quale mi ha fatto conoscere quanto sia efficace riprodurre mentalmente tutta la prova, cercando di immaginare ogni dettaglio, sensazioni comprese.
Cosa provi quando sei giù?
Ci sono tante emozioni, ogni tuffo è completamente diverso! C’è gioia, desiderio, divertimento, ma la cosa importante è essere concentrati al cento per cento.
Quando hai afferrato quel cartellino a -107 metri, non ti è venuto uno spasmo per l’emozione?
Beh, non proprio, ma la botta di adrenalina sì! E’ difficile che accada, perché preferisco non perdere la concentrazione, ma quella volta ero troppo contenta. Il tuffo era davvero importante, mi sono data la carica ed ho affrontato tutta la salita.
Il tuffo più bello al di là di quello del record?
I -104 metri conquistati il 10 maggio 2017 alla Bahamas, una vera lotta contro altre atlete ben preparate, ma è stato gestito in modo perfetto, perciò è stato veramente un tuffo fantastico.
La tua rivale giapponese Hanako Hirose è amica o nemica?
E’ amica! Si è dimostrata carinissima anche nel “Vertical Blue” delle Bahamas. Ricordo con affetto l’abbraccio prima dell’inizio del suo tuffo da record. Siamo tanto amiche e ci sproniamo a vicenda. Lei è cambiata tanto diventando molto preparata; io, grazie a lei, ho cercato di dare sempre di più: in pratica ci stiamo divertendo moltissimo!
Cosa consigli ad un apneista in erba? Come si fa a controllare le sensazioni di disagio durante un tuffo?
Cercando sempre di agganciarsi a pensieri positivi. Bisogna eliminare immediatamente il senso di sofferenza o di disagio aggrappandosi ad un pensiero positivo. Nell’apnea, come nella vita!
E tu, su cosa ti appoggi? Qual è il tuo sostegno?
Durante la gara, è la competizione stessa. Ogni giorno, ogni cosa, mi da una motivazione diversa. Se sto facendo un tuffo è perché voglio realizzare quel tutto, perché voglio essere felice dopo. Il fatto stesso di pensare di essere felice ti porta ad impegnarti di più.
Come ti aiutano i nuovi materiali ed in che modo? Quanto influiscono in una prestazione?
Influiscono tanto, muta e monopinna sono sicuramente fondamentali. Tuttavia, anche altri aspetti che sembrano irrilevanti possono fare la differenza, come ad esempio la lanyard (il bracciale usato per vincolarsi al cavo guida) che se scelto un po’ più grande genera più attrito di quel che ti aspetti. Sono tutti dettagli che vanno curati maniacalmente quando si arriva a voler fare competizione di un certo livello. Prima ancora, però, c’è la tecnica. L’attrezzatura fa la differenza, vero, ma la tecnica deve essere perfetta!
Pensi ci sia un motivo particolare del perchè ci siano poche donne che praticano apnea?
Penso che in questi anni l’apnea si stia sviluppando moltissimo, anche dal punto di vista femminile. Ultimamente stanno aumentando i record delle apneiste, basti pensare che nell’ultimo “Vertical Blue” noi atlete abbiamo fatto 10 record mondiali in tutte le discipline.
E’ vero che le donne sono più predisposte all’apnea rispetto agli uomini sia per fluidità che per concentrazione?
Sicuramente siamo più predisposte grazie all’elasticità che caratterizza il nostro corpo; questo ci permette di avere movimenti più fluidi, con grande vantaggio sulle resistenze idrodinamiche. Per la concentrazione? può darsi! Ad esempio, al mondiale in Honduras, dove la categoria femminile aveva molti cartellini bianchi, gli atleti maschili erano pieni di cartellini gialli e rossi! Insomma, gli uomini azzardano di più e rischiano ammonizioni, compromettendo irrimediabilmente la loro prestazione. Allora mi viene da pensare che, in fondo, le donne hanno sicuramente più autocontrollo e misurano meglio le loro capacità.
Perché consiglieresti questo sport alle donne?
Perché è un modo diverso di vivere il mare. All’inizio lo consiglio per vedere cosa c’è sotto le onde e poi per ricercare una diversa consapevolezza del proprio corpo. Si impara a respirare ed a capire il tutti i segnali che l’organismo ci dà in condizioni diverse dall’ordinario. Per questo penso che sia utile come ricerca di se stessi.