Dall’Antartide a Villa Erba, sgranocchiando finger food con Chiara Montanari

Intervista a Chiara Montanari, ingegnere capo spedizione in Antartide.

Data:
25 Luglio 2019

Come ci si prepara o, come “non ci si prepara” all’Antartide? Eri appassionata di sport estremi?

Son stata catapultata in questa realtà. Per fortuna c’è un corso di preparazione in cui vieni addestrato a fronteggiare le emergenze. Vengono anche svolti una serie di esami medici ed esercizi fisici. Io personalmente, pratico lo yoga. Sono più per allineamenti mente/corpo, che per gli sport estremi.

 

Come vive una vegetariana come te in Antartide?

Benissimo nella base francese. Nella base belga, dove mangiano solo carne e patata, un po’ meno. Non ci sono i viveri freschi ma conservati, però si sopravvive lo stesso.

 

 

Hai mai avuto problemi ad essere accettata come capo spedizione all’interno di un gruppo fortemente maschile?

Hai voglia! Mi è capitato soprattutto nell’ultima spedizione in cui c’era un gruppo di militari. La leadership va sempre e comunque conquistata, anche da uomo. Da donna hai qualche difficoltà in più.

Io avevo già lavorato con i militari (in genere c’è sempre un incursore o qualcuno che fa parte dei reparti speciali ad aiutare nelle manovre operative). Questa volta era un gruppo numeroso. C’è stato un momento in cui un militare, in buona fede, voleva aiutarmi a fare il capo spedizione. A volte, se qualcuno tiene un atteggiamento non del tutto conforme alle regole, lascio correre perché per me l’importante è portare a casa il risultato.  Ma questa volta, ciò avrebbe potuto creare seri problemi all’interno del gruppo. Se accade un’emergenza e il gruppo non si affida al capospedizione ma a qualcun’altro si dà luogo a confusione e si possono creare situazioni critiche (senza contare che responsabilità legale è comunque del capo della missione). In quel caso son dovuta uscire da un mio modello di leadership che normalmente è orizzontale, quindi collaborativo, per  assumere un ruolo gerarchico.

 

In quali campi ritieni ci possa essere un miglioramento della conoscenza scientifica? Pensando agli studi su Marte, pensi che le missioni in Antartide possano avere ancora delle correlazioni con le scoperte spaziali?

Sicuramente sono stati fatti dei passi importanti su tutte le ricerche climatiche e non solo. Dalla base Concordia è stato effettuato un carotaggio di 3270 metri per studiare la stratificazione del ghiaccio, risalente a 800.000 anni fa: questo ha permesso di analizzare molti millenni di storia atmosferica della Terra. Spesso, capire cosa è successo nel passato, ci permette di poter fare qualche previsione sugli scenari futuri.

Anche tutta la parte tecnologica gioca sicuramente un ruolo importante. Per quanto riguarda le correlazioni con lo spazio, adesso sto lavorando con degli astrofisici ad un altro progetto che studia i raggi gamma, i raggi energetici che vengono  sprigionati negli eventi più estremi dell’universo conosciuto.

 

Qual’è il tuo rapporto con Dio?

La mia è una ricerca e sono un po’ come San Tommaso. Sicuramente noi facciamo parte di un tutto e la mia ricerca è basata su questa consapevolezza della natura umana, senza categorie e senza compartimenti stagni, senza certezze. Amo essere stupita, perché attraverso lo stupore per ciò che non conosciamo si può crescere.

 

Cosa si prova a ritrovarsi a vivere in un ambiente davvero “vergine”, dal momento che l’Antartide è uno dei pochi posti della Terra ad essere ancora pressoché incontaminato?

E’ bellissimo ed è difficile da descrivere. Ciò che mi ha colpito dell’Antartide è la sensazione di spazio, la natura che in maniera armonica crea questi spazi immensi. Ognuno però, ha la sua percezione. Appena metti piede in Antartide hai questa sensazione di pace e di ricongiunzione con la natura,  che secondo me abbiamo perso e che dovremmo ricercare per vivere meglio la quotidianità. Va benissimo vivere in città, ma ogni tanto bisognerebbe vivere queste esperienze.

 

Cosa ti ha detto tua madre quando le hai riferito che stavi per partire?

“Va bene ciao…e prendi il maglione!”

A parte gli scherzi, tutta la famiglia all’inizio era un po’ preoccupata perché ero una giovane neolaureata. Io, però, sono stata cresciuta con la libertà, per cui né io, né la mia famiglia abbiamo visto la situazione come un problema.

 

Un consiglio e un augurio per le giovani ingegnere?

Di cercare di scoprire quali sono gli stereotipi che sono stati instillati in maniera implicita nella loro testa dall’esterno, per abbatterli, perché i nostri limiti li creiamo noi. A volte gli stereotipi creano paura, quindi auguro di affrontarli e abbatterli, affrontando la vita con serenità e, soprattutto, con  la gioia di viverla.

Forse anche per questo ho scelto di creare una società di consulenza che aiuti le aziende (ma anche le persone singolarmente) a sviluppare quello che chiamo Antartic Mindset, cioè la capacità di agire in modo strategico, accettando gli imprevisti come le normali regole del gioco e, quindi, saper prosperare anche nelle crisi e nell’incertezza più estrema.