4 – Esplorazione delle profondità: l’Apnea secondo Gianluca Genoni.

Da Busto Arsizio a campione di apnea conosciuto in tutto il mondo

Data:
8 Aprile 2019

Da Busto Arsizio a campione di apnea conosciuto in tutto il mondo, come ci si arriva?

Ci si arriva grazie a delle fortunate coincidenze! Da ragazzo, fino all’età di vent’anni, ero un buon agonista di nuoto e tra un allenamento e l’altro, io ed i miei amici, ci sfidavamo a chi stava più tempo sott’acqua. Proprio in quelle occasioni mi sono accorto di avere una buona predisposizione e di essere abbastanza bravo senza troppe difficoltà. Quando nel ’91 sono entrato nella Marina Militare ho cominciato le prime immersioni importanti e da lì non ho più smesso. Allenamento dopo allenamento, finalmente il 17 agosto 1996, nelle acque di Siracusa, ho conquistato il mio primo record mondiale scendendo alla profondità di 106 metri in assetto variabile regolamentato. Una vera vittoria per me stesso, anche perché quel record è stato conquistato nelle acque del caro Enzo Maiorca, al quale devo tanta ispirazione.

Devo dire, comunque, che un passaggio importante nella mia carriera di apneista è stata la lettura di “Homo Delphinus”, di Jacques Mayol, che mi ha permesso di capire l’importanza di un percorso rivolto al rilassamento in acqua ed al miglioramento della respirazione. Con questo nuovo approccio sono riuscito ad affrontare i successivi record.

 

Cosa hai provato quando hai fatto il primo record?

Come è normale che sia, Il primo record è quello che da più soddisfazioni:il lavoro speso e l’impegno dedicato sono fuori misura e la paura di non farcela è anch’essa enorme. Lo sogni per anni e quando arriva ti imprime nella mente ogni dettaglio; ancora oggi ricordo benissimo il vortice di emozioni, i suoni e le parole di chi mi era intorno. Anche l’ultimo record lo ricordo molto bene, ho raggiunto la profondità massima di ben 160 metri.

 

Rispetto a Maiorca come si è evoluta la tua tecnica? Cosa hai migliorato o sviluppato negli anni?

Enzo Maiorca e Jacques Mayol vivevano l’apnea con stile diverso. Maiorca con più preparazione fisica, allenamento e raffinamento della tecnica, mentre Mayol con l’uso di metodi mentali volti alla padronanza del corpo. Quello che ho fatto è stato semplicemente unire le due discipline ed è quello che tutto sommato si continua a fare oggi, ovviamente ogni atleta con modi propri.

 

Qual è la sensazione fisica durante una profondità importante e come sconfiggi la paura?

Per aumentare le prestazioni devi allenarti tanto, devi necessariamente dedicare molto tempo alla preparazione atletica, ma. Soprattutto. devi creare una confidenza con le profondità giorno per giorno. Questo permette di acquisire un controllo sulle sensazioni di disagio che possono nascere durante un tuffo profondo ed evitare così spiacevoli inconvenienti. Il fisico, contrariamente a quello che si può pensare, se allenato, non avverte dolore o schiacciamenti poiché esistono delle risposte fisiologiche che tendono a compensare le forze idrostatiche. Tali reazioni, che sommariamente prendono il nome di “riflesso di immersione”, negli esseri umani sono molto spiccate e questo è stato scoperto proprio grazie ai pionieri dell’apnea. Nel mio caso, per passare da 106 metri a 160 ho impiegato quasi sedici anni. Questo lasso di tempo è stato necessario per avere la massima sicurezza, visto che all’epoca non si disponeva ancora di un adeguata conoscenza medica. Vincere la paura? Non ho mai avuto paura. Quando mi dedicavo ad una discesa molto profonda cercavo di avere sempre una grande concentrazione, un’attenzione massima ai dettagli ed anche un po’ di timore, il quale aiuta ed essere prudenti. Con questo mi assicuravo una significativa riduzione del rischio di eventuali incidenti.

 

Preferisci utilizzare le pinne o  la monopinna?

Quando ho iniziato, un bel po’ di anni fa, si usavano le due pinne. Adesso, per le profondità maggiori e per le distanze più lunghe in piscina, si usa la monopinna, che per la prestazione in sé stessa è sicuramente più performante. Tuttavia, le pinne sono più comode in acqua e permettono movimenti che con la monopinna non potresti avere.

 

Perché ad un ragazzo consiglieresti di praticare apnea?

Diciamo che nessuno comincia a fare apnea spontaneamente senza la personale consapevolezza che sia una piacevole disciplina. Ad ogni modo, io la consiglio a tutti, anche a chi è scettico, per molti buoni motivi. Primo tra tutti il contatto con la natura marina in modo semplice, disinvolto e sincero. Non bisogna pensare che trattenere il respiro sia una prova di forza o di coraggio, perché, per assurdo, posso assicurare che nel contesto acqua da una sensazione di benessere. Insomma, con l’apnea si riesce a vivere il mare con tutto il rispetto che merita. D’altro canto, io ho iniziato proprio così, poco per volta, rimanendo colpito ogni volta da come si stava bene sott’acqua.

 

Ma perché consigliarla rispetto ad altri sport?

Una domanda difficile! Quando sei bambino o ragazzo di solito si viene colpiti da qualche particolare che genera una spontanea attrazione verso uno sport piuttosto che un altro. Ovvio che, così come qualcuno trova un gran piacere a giocare a tennis oppure a basket, a qualcun altro può non piacere l’apnea. Tuttavia, se ad una persona piace il mare, il silenzio, gli spazi vuoti è senz’altro una disciplina da raccomandare. La sua ricchezza ed il suo fascino farà il resto.

 

Quale consideri il mare più bello?

il mare che mi è piaciuto di più in assoluto è quello della Polinesia francese, ricco di colori, vita, acqua calda. Anche se non è dietro l’angolo, un amante del mare dovrebbe andarci almeno una volta nella vita.

Ma il mediterraneo d’estate, per me, è bello tanto quanto i mari esotici. La Liguria, la Sardegna, la Sicilia oppure le isole Tremiti e tanti altri luoghi hanno sotto le onde spettacoli non meno coinvolgenti dei tropici. Certo, d’ inverno non è la stessa cosa, ma pensando positivo, alla fine sono solo pochi mesi di attesa.

 

Ci racconti un po’ degli esperimenti scientifici a cui hai collaborato?

Ho preso parte a sperimentazioni con il CNR dell’Università di Milano. Dal 2000 fino al 2003 mi hanno coinvolto in una serie di prove per verificare la risposta dell’organismo quando si trova in condizioni atmosferiche estreme. Sono stato il primo uomo ad immergersi in uno dei laghi più alti della terra, a 5100 metri, con lo scopo di verificare la reazione del corpo quando affronta apnee in ambienti carenti di ossigeno. Ricordo che, in condizioni normali, riuscivo a trattenere il fiato per oltre otto minuti; lì ai piedi dell’Everest riuscivo a malapena a superare i due minuti! Ho provato anche l’esperimento inverso, facendo apnee con miscele altamente arricchite di O2, praticamente ossigeno puro, ed ho resistito per più di diciotto minuti senza avvertire fame d’aria.

 

Dopo 18 minuti come stavi?

Molto bene. Non ufficialmente ho superato anche i venti minuti! Posso tranquillamente dire che tutti questi esperimenti sono stati utili per ottenere una consapevolezza del mio corpo completamente diversa. Ho capito tante cose di me stesso ed in fin dei conti sono state bellissime esperienze.

 

Chi vedi come tuo erede?

Da quando ho iniziato io, l’apnea è cambiata moltissimo. Ci sono molti praticanti forti e capaci che si contendono il titolo di primatista attraverso vere competizioni e non più, come un tempo, per mezzo di tentativi singoli. Tra l’altro, oggi, non si praticano più quelle discipline estreme come il “no limits”, al contrario sono molto seguiti record in assetto costante, ovverosia senza l’aiuto di pesi che accelerino la discesa. Al momento, con la monopinna è stata raggiunta la considerevole profondità di 130 metri!

 

È stato dimostrato che l’iperventilazione è quasi inutile e soprattutto pericolosa. Oggi molti atleti apneisti usano la respirazione glossofaringea, indicata spesso come “carpa”, cosa ne pensi?

È sicuramente da non fare per apnea ricreativa. Chi la utilizza lo fa per tuffi molto profondi o per ottenere lunghe distanze in piscina, visto che permette di avere una riserva di aria, e quindi di ossigeno, maggiore. La tecnica prevede l’introduzione forzata di aria nei polmoni attraverso movimenti ritmici della lingua, aumentando così la pressione intratoracica. È naturale che questo sforzo possa essere la causa di rischiosi stress a livello polmonare ed alveolare, sicuramente un pericolo per chi la improvvisa.

 

Gianluca, di cosa ti occupi ora?

Mi piace trasmettere ai giovani il messaggio di sport pulito e promuovo campagne contro l’inquinamento degli oceani. Il mare sta subendo tanto e troppo per l’irresponsabilità umana; ormai la temperatura dell’acqua è salita così oltremisura che i coralli stanno morendo dappertutto. I cambiamenti climatici ed i rifiuti di ogni specie nelle acque sono sottovalutati. Se si continua con il ritmo attuale la prossima generazione avrà perso tanto del nostro mondo.