Quando i coralli erano rossi

Quest’estate avete sentito parlare forse per la prima volta dell’isola indonesiana di Lombok, a causa dei devastanti terremoti che l’hanno colpita e dei relativi effetti sulla popolazione locale e turistica.

Data:
19 Marzo 2019

Quest’estate avete sentito parlare forse per la prima volta dell’isola indonesiana di Lombok, a causa dei devastanti terremoti che l’hanno colpita e dei relativi effetti sulla popolazione locale e turistica.

Venti ore prima che la terra iniziasse a tremare, io mi trovavo nella minuscola isola di Gili Air, a meno di due miglia da Lombok, e dirigevo le mie preoccupazioni verso il mare.

Più precisamente la mia attenzione era attratta dal bagnasciuga, dove la quantità di sabbia era pari a quella di coralli morti.

Leggiamo da anni che l’anidride carbonica e gli altri gas serra immessi nell’atmosfera dalle attività antropiche, come il volo Milano-Jakarta che ho preso con altre centinaia di persone, hanno effetti anche sulla salute degli oceani, ma vederlo con i propri occhi è un’esperienza diversa.

Ci sono due fenomeni, ovviamente in corso a ritmi accelerati, che impattano sulla vita dei coralli: il riscaldamento delle acque e la loro acidificazione.

Il primo determina la perdita delle alghe che vivono sulla superficie del corallo, quindi il suo sbiancamento, il secondo riduce la disponibilità di ioni carbonato che servono a coralli, molluschi, alcuni di tipi di plancton e tutti gli organismi marini a guscio per formare scheletri e conchiglie.

Entrambi i fenomeni conducono alla morte dei coralli e quindi alla profonda trasformazione di ecosistemi brulicanti di biodiversità: le barriere coralline.

La chimica alla base di questo processo è molto semplice: circa un quarto dell’anidride carbonica (CO2) immessa in atmosfera è assorbita dagli oceani, reagisce con l’acqua (H2O) e forma acido carbonico (H2CO3) che, come tutti gli acidi, rilascia ioni di idrogeno (H+).

La presenza di ioni di idrogeno nell’acqua ne determina l’abbassamento del pH che, si stima, dal 1751 al 1994 è passato da 8,25 a 8,14, un cambiamento notevole considerato che la scala del pH è logaritmica e che le reazioni chimiche biologiche, come la formazione di gusci calcarei, sono sensibili a piccolissime variazioni del pH.

Gli organismi marini utilizzano la reazione tra gli ioni di calcio (Ca+2) e gli ioni carbonato (CO3-2) presenti nell’acqua, per formare conchiglie e scheletri di carbonato di calcio (CaCO3), comunemente chiamato calcare.

Se doveste pulire una superficie incrostata di calcare cosa fareste? Usereste acqua calda e un detergente debolmente acido. Il calcare si scioglierebbe immediatamente perché gli ioni H+ rilasciati dall’acido hanno un’affinità con il carbonato più alta di quella del calcio, tale da rompere facilmente il legame CaCO3.

Con le dovute proporzioni (l’acqua di mare non è acida, avendo un pH di 8,14), questo è ciò che succede ai coralli: hanno a disposizione sempre meno ioni carbonato per sostenersi, rischiano l’erosione da parte degli ioni di idrogeno, sono più friabili e vulnerabili all’azione degli animali.

Se gli aspetti prettamente chimici sono prevedibili, gli impatti biologici non lo sono affatto: alcuni organismi riusciranno a sopravvivere nelle nuove condizioni ambientali, altri si evolveranno per adattarsi, alcuni si estingueranno, e questo condizionerà l’equilibrio di flora e fauna che popola le coste terrestri.

Facilmente entreranno nell’equazione gli aspetti socioeconomici, ci saranno conseguenze per i settori della pesca e dell’acquacoltura, quindi per la sicurezza alimentare di milioni di persone, e per tutte le attività basate sulla salute dei mari, come il turismo.

E questo mi riporta ai ricordi di questa bellissima estate, del mio viaggio tra giungla, cielo e oceano, del nostro sguardo contrariato di fronte ai consueti roghi di immondizia, dello stupore per il rilascio in acqua di centinaia di cuccioli di tartaruga da parte delle organizzazioni che fanno tanto per preservare quegli ecosistemi meravigliosi.

Il loro lavoro è prezioso e forse ancora è solo una goccia nel mare, ma vedere la realtà in cui operano mi ha confermato che l’unica cosa che può salvare il nostro pianeta è la cultura.

Una persona che conosce le conseguenze delle proprie azioni, le modifica senza patire per l’imposizione, senza cercare di aggirare le normative, senza credere egoisticamente e scioccamente che il comportamento di oggi avrà conseguenze lontane nel tempo e nello spazio.

La conoscenza è potere, diceva Francis Bacon, e di questo potere abbiamo disperatamente bisogno.